29/10/15 15.00 / di Pasquale Borriello
Sui mezzi digitali la distinzione tra contenuto e formato, o tra cosa e come, se preferite, è quasi completamente sfumata. Sempre più spesso un messaggio ‘nativo’ nasce e muore sul mezzo, il formato, per il quale è stato realizzato. Ad esempio su Snapchat ogni post viene creato e postato attraverso l’applicazione: non c’è quasi più spazio per una fase intermedia tra contenuto e formato. Ma è davvero così che funziona il content marketing? Ci stiamo perdendo qualcosa?
Nella tendenza attuale, à la Snapchat, svanisce il gap tra l’ideazione-produzione del contenuto e la sua veicolazione attraverso i media. In questo caso infatti manca completamente la fase di editing che diventa solo una breve interazione all’interno dell’applicazione stessa. L’output non è molto distante dall’input. È tutto molto ‘real’, e piace proprio per questo. Ma la qualità?
Il Content Marketing non è questo, non è solo ‘postare’ contenuti.
È qualcosa di più complesso. Percolate riassume il ciclo del content marketing in 8 fasi distinte. Soltanto dall’ideazione del contenuto (brainstorming) alla sua pubblicazione (o distribuzione) ci sono 6 passaggi.
In questo framework concettuale, la distinzione tra contenuto e formato diventa obsoleta e si preferisce parlare di idea di contenuto a partire dalla quale si generano i singoli piece of content, abbreviati in POC. I piece of content sono la “forma” che l’idea di contenuto assume sui vari canali, ad esempio: un post Facebook, un tweet, un articolo su un blog, uno slideshow o un podcast.
Il concetto stesso di POC è fondamentale: ogni ‘oggetto’ pubblicato ha la dignità di essere contenuto e non è soltanto una forma di qualcos’altro. Questa definizione sarebbe piaciuta perfino a David Ogilvy, che diceva
Ciò che convince i consumatori a comprare o non comprare è il contenuto della pubblicità, non la sua forma.
Questo primato del contenuto viene salvaguardato dal content marketing, che si serve delle sue monadi, i ‘piece of content’ appunto, per costruire campagne e piani editoriali. I differenti POC mantengono così una loro autonomia pur se talvolta sono chiaramente riconducibili ad un’unica idea creativa (nel senso proprio di creazione). Diventa possibile quindi che da un’unica idea discendano più ‘pezzi’ di contenuto.
E di più, addirittura è possibile generare nuovi piece of content a partire da un singolo POC originario. Un utile ebook di Oracle spiega addirittura come generare 100 piece of content a partire da uno soltanto. Non è il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci ma un processo quasi scientifico denominato ‘repurposing’. Ovvero pensare al singolo piece of content in modo nuovo: un video può essere spacchettato in 3 post sul blog e l’audio rimontato per generare un podcast. Ecco come, ad esempio, da un contenuto (il video) se ne generano 4 con relativamente poco sforzo.
È un principio di ecologia del content marketing: dai buoni contenuti nascono nuovi contenuti altrettanto buoni pensati per fruizioni diverse.
I contenuti, o meglio i piece of content, possono essere di diverse tipologie. Una categorizzazione piuttosto semplice ma secondo noi efficace è quella che distingue tra contenuti editoriali, visivi e interattivi.
I contenuti visivi sono al momento quelli di gran lunga più utilizzati e più visti. Rientrano in questa categoria:
- immagini
- micro-content per i social network
- infografiche
- video
I contenuti editoriali racchiudono invece i contenuti nei quali il testo è l’elemento principale e possono avere diverse forme:
- post da blog (brevi, di solito sotto le 600 parole)
- articoli lunghi (che è noto, funzionano meglio a livello di engagement)
- ebook o guide
Infine la tipologia di contenuto che è forse ad oggi la più interessante per le attività di content marketing ovvero i contenuti interattivi:
- long page
- quiz
- sondaggi
- infografiche interattive
- video interattivi o in realtà virtuale 360°
- minisiti interattivi
È evidente come la fase di produzione vera e propria sia particolarmente delicata perché richiede la maggiore quantità di lavoro (e investimenti).
Non tutti i piece of content sono nati uguali.
Ed è utile immaginarli in un ipotetica linea di crescita da short form (contenuti che hanno costi e tempi di produzione ridotti) a long form (contenuti che richiedono investimenti maggiori).
In quest’ottica, nella sperimentazione di nuove idee di contenuto è opportuno prima realizzare contenuti short form, misurarne l’efficacia e solo successivamente avventurarsi nella (costosa) produzione di un long-form content.
Un esempio pratico: possiamo provare a lanciare un’idea tramite post sui canali social (short-form) e in base alla reazione del nostro pubblico decidere soltanto successivamente di realizzare un video o magari un ebook (long-form) su quell’idea. Può esservi utile dare un’occhiata a questa guida su Quicksprout sul tema.
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Topics: content marketing, strategy, piece of content

Scritto da Pasquale Borriello
Sposato, 3 figli. Amministratore Delegato Artattack Group, business developer per la startup Netnoc. Studi in filosofia, matematica e una specializzazione in marketing in Canada.