06/12/17 12.29 / di Silvia Cefaro
Vi ricordate com’era la TV fino a qualche tempo fa? Governava il palinsesto, la funzione più originale del telecomando era il televideo, se non si riusciva a vedere un programma in diretta si aspettava l’eventuale replica, le partite di calcio della domenica si guardavano nel bar del quartiere che aveva Stream o Tele+. E quando in onda non c’era nulla di interessante si correva a prendere un film da Blockbuster, prima in vhs poi in dvd.
Sono passati solo quindici anni da allora, ma sembra già un’eternità. E il merito, o se preferite il responsabile di questo incredibile balzo nel futuro è stato in Italia Rupert Murdoch, che nel 2003 si mise in testa di fondare Sky acquisendo e fondendo proprio Stream e Tele+, le due pay TV rivali dell’epoca.
Con le sue continue innovazioni tecnologiche, Sky ha operato un’autentica rivoluzione copernicana nella fruizione dei contenuti, catapultatoci di colpo in un mondo fatto di decoder, parabole, alta definizione, 4K e 3D, trascinandosi dietro in questo processo di stravolgimento della realtà anche le sue dirette concorrenti, prima fra tutte, ovviamente, Mediaset Premium.
Anno dopo anno, Sky e competitor hanno investito e guadagnato nel facilitarci la vita, facendoci risparmiare e ottimizzare il sempre minore tempo libero a disposizione. Ci hanno dotato di canali tematici h24, ci hanno permesso di saltare le interruzioni pubblicitarie e di registrare un programma mentre ne vediamo un altro, ci hanno fatto provare la visione multiscreen (e ce ne hanno fatto innamorare).
Ci hanno poi consentito di accedere ai video on demand, liberandoci definitivamente dal vincolo della “sofa-tv”, e dulcis in fundo ci hanno messo a disposizione ogni match del cosiddetto “calcio-spezzatino”, pur dopo averlo fatto a pezzi loro, il calcio.
Ci hanno abituato insomma a tutto questo multitasking, e soprattutto a essere multitasking.
Non bastasse, le pay TV si sono rese protagoniste di un’ultima trasformazione che è andata ben oltre il medium televisivo, e che ha come parola d’ordine (e modus operandi) il concetto di flessibilità. Il consumatore deve essere libero di accedere ai contenuti che desidera quando, come e dove vuole (“liberi di”, non a caso, è stato lo slogan delle campagne Sky per anni). E se John Antioco, ex Ceo di Blockbuster, questo concetto lo aveva solo intuito, Reed Hastings, Ceo di Netflix, è riuscito a svilupparlo alla perfezione, e con un enorme profitto.
L’azienda statunitense ha reinventato i parametri dell’entertainment puntando tutto su internet. E sulle produzioni originali, e sulle serie tv, e sul binge watching, e su quel sistema diabolico che fa partire le puntate una dopo l’altra facendoci passare le notti in bianco. Il suo successo ormai si alimenta da solo, anche grazie a un notevole hype collettivo che si è venuto a creare nel tempo (basti pensare a cosa si è scatenato sui social per l’uscita di “Stranger Things 2”).
Netflix, dall’alto del suo successo (a ottobre si è chiuso un altro trimestre eccellente, con un boom di nuove iscrizioni e un utile in crescita del 130% rispetto allo stesso periodo nell’anno precedente), ha fatto proseliti.
Le cosiddette Over The Top Television si sono moltiplicate a dismisura, pur senza destare alcuna preoccupazione a Reed Hastings, che sornione ha recentemente dichiarato di avere paura solo del sonno degli utenti.
In realtà dovrebbe averne almeno di Amazon Prime Video, sicuramente fra i più concorrenziali dei competitor di Netflix. Jeff Bezos ha basato il suo business anzitutto sull’offerta: per poter usufruire del servizio è sufficiente abbonarsi ad Amazon Prime (che permette di avere in consegna i propri pacchi in tempi super-fast); inclusa nell’abbonamento c’è poi la funzionalità “X-Ray”, utilissima per navigare all’interno del film e per trovare immediatamente approfondimenti su info collaterali come cast e colonna sonora. Quanto al catalogo, è sempre più in espansione: dopo aver ingaggiato vari nomi forti, in primis Woody Allen (regista di Crisis in six scenes), Amazon Prime Video ha annunciato una serie prequel de “Il signore degli anelli”, e siamo pronti a scommettere che sarà seguitissima.
In uno scenario del genere, le pay tv tradizionali sono state costrette a rivedere le proprie strategie. Mediaset e Sky hanno deciso di presenziare online e fronteggiare i nuovi colossi globali: tutti o quasi conosciamo Infinity e Sky Online, divenuto con il re-branding Now Tv.
Il 29 novembre l’azienda di Murdoch ha lanciato anche il servizio Sky Q, che permette una nuova esperienza di visione: multiscreen wireless, fino a 5 schermi in contemporanea, autoplay e registrazioni multiple promettono di trasformare la nostra casa in un ambiente integrato dove è possibile accedere a tutti i contenuti, sia quelli in palinsesto sia quelli on demand e registrati. “La TV ricomincia da qui” è il claim scelto per la nuova piattaforma hi-tech.
Insomma, il trend del momento, e forse anche l’unico possibile visti i ritmi della vita odierna (ne abbiamo parlato approfonditamente nel podcast qui sotto), è quello di un content video flessibile e di assoluta qualità. Tutti i player lo sanno, e tutti si sfidano proprio su questo stesso campo di battaglia. A prescindere da chi vinca la sfida, a beneficiarne siamo e saremo tutti noi.
Topics: content marketing, Ott, Pay tv, Amazon Video Prime, Netflix